di Mina Barcone - foto Francesco De Leo

La storia dei vecchi "coltellinai" di Bari: eredi degli arrotini, vendono ancora oggi lame di tutti i tipi
BARI – Zuava, Rusticano, Martinese, Catanese, Vopa calabrese. Sono i particolari nomi di alcune delle lame che è possibile acquistare all’interno di una “coltelleria”: negozi specializzati nella vendita di oggetti taglienti come appunto coltelli, forbici, mannaie, pugnali e un tempo anche rasoi da barba. Esercizi commerciali in passato molto diffusi, ma che ora, tra mercato online, centri commerciali e scomparsa delle armerie, si contano ormai sulle dita di una mano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A Bari ne sono sopravvissute solo due: la Scoft & Botz Sas Di Tarussio in via Calefati e la Coltelleria forbiceria di Palumbo in via Mola. La prima fu fondata nel 1850 da un arrotino e si presenta oggi come un vero e proprio “museo del taglio” visto che conserva alcuni antichi oggetti ormai fuori commercio. La seconda è del 1896 e continua addirittura a portare avanti la vecchia pratica dell’affilatura delle lame. Siamo andate a trovarle (vedi foto galleria).

Iniziamo il nostro viaggio da Scoft & Botz, ubicato dal 1961 al civico 149 di via Calefati. A segnalarne la presenza c'è però solo una targhetta poco visibile: il locale infatti non ha vetrine e si trova all'interno di un condominio al piano interrato.

Ad accoglierci in una stanza piena di oggetti affilati di ogni forma e dimensione c’è il proprietario: l’84enne Andrea Tarussio. «Siamo coltellinai da generazioni - esordisce -. Fu il mio bisnonno Natale, nel 1850, a fondare l’attività in Friuli, sua regione d’origine. Poi mio nonno Andrea nel 1932 si trasferì a Bari aprendo l’esercizio in via Piccinni 145. Lui come il padre era un arrotino e quindi iniziò con l’attività di affilatura alla quale poi affiancò la produzione di coltelli, forbici e rasoi». 

Il signore ci mostra subito la splendida macchina per affilare utilizzata sin dall’800. Al grido “è arrivato l’arrotino”, i suoi avi giravano per case, sartorie, ristoranti e macellerie donando nuova vita a lame di diverso genere. «La portavano in spalla - spiega Andrea -: funzionava spingendo il pedale che faceva ruotare la mola abrasiva».

Altri pezzi d’antiquariato sono i rasoi che realizzava Natale, il padre di Andrea, vendendoli a un prezzo che variava tra le 2 e le 5 lire. Ce ne mostra orgoglioso uno, che tira fuori da una vetrinetta espositiva, accompagnato da un altro strano oggetto: la “coramella”, strumento in cuoio e legno che serviva per “addolcire” le lamette. Stessa funzione della “fergola”: pezzo di legno utilizzato dai barbieri di un tempo per ravvivare la lama dei loro rasoi.

Nel Dopoguerra grazie alla grande richiesta i Tarussio si ingrandirono. Si trasferirono in corso Vittorio Emanuele, aprendo poi una vera e propria industria delle lame a Paularo, in Friuli, paese di nascita del bisnonno. «La merce che vendiamo qui proviene ancora dal Nord Italia», specifica il signore. «Oggi però gli affari non vanno come un tempo – aggiunge -. Tra centri commerciali, vendita online e scomparsa delle armerie (a Bari ne è rimasta solo una) abbiamo perso molto. In più si è aggiunta questa nuova “moda” di avere le lame in comodato d’uso dai produttori per pagare solo l’affilatura ogni dieci/quindici giorni».


E tra lame ondulate buone per la caccia e vecchie fiocine per la pesca, Andrea ci mostra dei coltelli particolari che conserva gelosamente, riservandoli per collezionisti e appassionati. «Questa è la "vopa calabrese" - spiega -. Prende il nome dal pesce tipico di quella regione e veniva utilizzato dai pescatori per tagliare le reti».

Ci sono anche coltelli tipicamente pugliesi come il “rusticano” di Gioia del Colle e il “martinese” di Martina Franca. Quest’ultimo, comodo e richiudibile, veniva utilizzato dai pastori durante la transumanza per tagliare di tutto, dal cibo agli arbusti. In Molise si preferiva invece lo “zuavo” con forma allungata ma che a circa metà diventa concava. Infine il “catanese”, considerato uno dei più taglienti al mondo e per questo conosciuto anche come “rasolino” perchè appunto affilato come un rasoio.

Salutiamo Andrea e ci dirigiamo nel quartiere Madonnella, in via Emanuele Mola 32, per visitare la Coltelleria, forbiceria, arrotineria Palumbo attiva, come recita l’insegna, dal 1896. 

Accediamo alla bottega percorrendo un corridoio affiancato da vetrine all’interno delle quali si trovano decine e decine di coltelli, forbici e lame. Qui facciamo la conoscenza del 45enne Alessandro Palumbo, che ha ereditato dal padre Antonio la bottega fondata in piazza del Ferrarese dal bisnonno Alfonso.

«Siamo sempre stati a Bari Vecchia e ci siamo sempre occupati della vendita al dettaglio – sottolinea -. Purtroppo però con l’avvento del commercio online abbiamo iniziato a perdere clienti e abbiamo dovuto ridimensionare l’attività, trasferendoci nel più decentrato quartiere Madonnella».

Ci mostra con orgoglio le foto del vecchio negozio con il padre sempre in primo piano davanti all’uscio. In origine il locale aveva le porte in legno, successivamente sostituite con vetrate per mostrare meglio la merce.

«Erano bei tempi – ci confida –. Oggi però come detto si vende molto meno. Ad esempio i supermercati ormai non si riforniscono più da noi ma è la catena stessa a mettere a disposizione le lame. Prima invece c’era un nostro rappresentante che girava tra i vari esercizi occupandosi della vendita di coltelli e forbici per il banco macelleria o salumeria».

Alessandro mentre parla è intento a lucidare una scimitarra, coltello a lama curva utilizzata maggiormente da macellai e cuochi per tagliare cotenna e carni grasse. «La nostra non è una famiglia di arrotini ma di commercianti, però per evitare di chiudere ho anche dovuto mettermi ad affilare le lame», spiega.

Nel negozio è infatti presente un laboratorio dove è ospitata una mola abrasiva, ovvero una ruota che gira vorticosamente affilando le lame più consumate e spente. Non manuale come quella dei Tarussio, ma alimentata da energia elettrica.

Ci sarebbe piaciuto vedere l’esperto all’opera, ma purtroppo all’interno della stanza sono in corso lavori di ristrutturazione e non è possibile entrare. «Ora sono diventato bravo, anche se devo ammettere che all’inizio non è stato affatto semplice  – conclude Alessandro –. Del resto ho dovuto imparare un mestiere un tempo richiestissimo, ma che ormai non fa quasi più nessuno».

(Vedi galleria fotografica)


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Mina Barcone
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Francesco De Leo
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  • Tarussio - Signora mina buongiorno! Volevo solo dirle che l Arrotino più bravo di bari era mio padre e lei nn l ha neanche menzionato! Era un artista! Può chiedere a tutti i macellai di bari! Secondo me andrebbe fatta una rettifica sul suo articolo!


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